Epilogo di un decennio

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Fine di una fase: martiri o eroi?

Alla fine di un ciclo si tende ad analizzare i pro e i contro, già nel 1977 iniziano ad individuarsi le successive fasi dell’esaurirsi di un periodo fecondo.

Vi è stata una lunga fase, in cui tutti i protagonisti si sono dileguati, quasi perché si sentivano colpevoli delle loro storie.

Quando il movimento si trovò di fronte all’attacco dello Stato, tentò la disperata uscita in vari modi: ritorno al privato da parte della maggioranza, religioni orientali di altri, l’eroina per tanti altri, la scelta della lotta armata per chi non voleva rinchiudersi nel privato o pensava di poter rispondere all’attacco concentrico di Stato, partiti e sindacati.

Dall’impegno totalizzante dei primi anni, allo scoprire il privato, molti quasi scherzavano sul loro impegno precedente, quasi volessero giustificarsi.

Le scelte più controverse furono le droghe pesanti: l’eroina o acidi si portarono via molti, quando anni prima si combattevano anche le droghe leggere, perché si pensava che diminuissero l’impegno e si potesse essere ricattati dalla polizia, ricordo che a Torino nel 1976 siamo andati a chiudere un luogo di spaccio nel quartiere di Vallette.

Morti del movimento ammazzati negli scontri, da poliziotti e fascisti se ne contano in quantità (Saverio Saltarelli, Pino Pinelli, Roberto Franceschi, Claudio Varalli, Giannino Zibecchi a Milano,Giorgiana Masi, Walter Rossi e Valerio Verbano a Roma, Franco Serantini a Pisa, Mariano Lupo a Parma, Benedetto Petrone a Bari, Francesco Lorusso a Bologna  e tanti altri).

Per un elenco più completo si può fare riferimento, in cui sono riportati anche fatti successivi

http://www.paolodorigo.it/carcere/compagni-caduti.html#TEMPO

E ci sono morti che spesso si dimenticano come quella di Tonino Miccichè, operaio ucciso da un vigilante perché era attivo nell’occupazione delle case a Torino.

O Pietro Bruno, ucciso in un assalto all’ambasciata dello Zaire perché lottava per la liberazione dell’Angola, nel periodo dello disfacimento del fascismo in Portogallo.

E ci sono morti che si rivalutano come Peppino Impastato, a cui è stato dedicato il film “Cento passi”, dopo che per anni hanno fatto di tutto per infangare la sua storia e la sua militanza.

Per anni i servizi d’ordine servivano a proteggere i militanti nelle piazze o dagli attacchi dei fascisti, a Roma occorreva rispondere ai Nar che usavano le armi, ma quando il 1° ottobre 1977 all’ennesima manifestazione di protesta contro l’omicidio a Roma di Walter Rossi, a Torino morì un giovane Roberto Crescienzo, che per caso rimase rinchiuso in un bar, frequentato da “fascisti”, assaltato con le molotov e che distrusse il locale, il movimento entrò in crisi e molti si interrogarono degli strumenti adatti a portare le rivendicazioni.

Morirono anche militanti di destra, spesso in scontri con la polizia, ma per anni erano stati dalla stessa parte dello stato e dei servizi segreti, tanto da tentare anche un grottesco “colpo di Stato” comandati da Borghese.

E di fronte a questo attacco mentre la maggioranza fu costretta al silenzio, rinchiusa tra la scelta a favore dello Stato o con la lotta armata, un’intera generazione di giovani intrappolata dalle proprie scelte, chiuse questa esperienza dentro il carcere.

Non ci furono né eroi e martiri, ognuno fece la scelta che in quegli anni ritenne più opportuna, forse inconsapevolmente, trascinata dalla forza del movimento e dagli eventi.

Tanti hanno fatto scelte negli anni successivi le più disparate: docenti universitari, imprenditori, dirigenti aziendali, dirigenti sindacali e nei partiti di sinistra, spesso aiutati dalle loro origini, altri non si sono laureati anche perché le lotte non davano tregua, altri sono diventati professori o impiegati.

E gli operai che fine anno fatto?

Quando si era studenti si marciava insieme senza tenere conto dell’estrazione sociale, e gli operai delle grandi fabbriche erano in mito per tutti, ma dopo alla conclusione del ciclo gli operai sono scomparsi, perché la ristrutturazione delle fabbriche espulse i più attivi e di quella grande unità che spaventò la borghesia e i capitalisti italiani si è persa la memoria.

Gli operai sono tornati nell’ombra da cui erano usciti, l’attacco al cielo è stato un sogno, ma le conquiste ottenute da quella alleanza in parte ci sono ancora e pezzo per pezzo vengono rimesse in discussione (assistenza sanitaria, oberata di ticket, pensioni decurtate e ridotte all’osso, libertà in fabbrica cancellate).

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