Il plutonio sotto i mari per l’ultima guerra

La vera storia delle navi a perdere e la guerra nucleare

Partecipo spesso a iniziative culturali, presentazioni di libri o altro e non mi sarei mai aspettato che un libro possa spingerti a guardare i fatti in modo diverso.

Da anni si discute dei rifiuti radioattivi e tossici, provenienti dal Nord Italia e anche dalla Russia, in riferimento alle centrali dell’ex impero sovietico, che possano essere stati sotterrati nelle montagne e delle navi affondate sotto il mare della Calabria.

Non è una novità che in questo contesto si inserisca anche il traffico di armi, sempre presente, ma questi traffici sono aumentati, dopo la dissoluzione dell’URSS.

Gli attori in campo sono sempre gli stessi, gli stati, industrie, servizi segreti più o meno deviati o “inquinanti”, massoneria, un pizzico di mafia per chiudere il cerchio.

Avevo partecipato, a fine dicembre, a Gioiosa Jonica, alla presentazione del libro di Andrea Carnì, dottorando in studi sulla criminalità organizzata, all’Università di Milano: “Cose storte. Documenti, fatti e memorie attorno alle “navi a perdere”” (2018, Falco editore), moderato da Gianluca Albanese, nel quale si cercano di riordinare tutte le notizie, a partire dalle relazioni delle Commissioni d’inchiesta parlamentari, inchieste della magistratura e giornalistiche.

Rimangono sempre le stesse domande: come mai non si riesce ad arrivare alla verità e avere un quadro probatorio, per scoprire dove sono stati scaricati questi materiali?

Sabato 9 febbraio, da MAG, sempre moderato da Gianluca Albanese, è stato presentato il libro di Monica Mistretta e Carlo Sarzana di Sant’Ippolito: “Plutonio – Navi a perdere, vincerà chi avrà l’ultima bomba”, Città del Sole edizioni, 2018, presentato a Reggio, appena uscito, da Gianluca Albanese e dalla sua recensione dell’incontro, su Lente Locale, ero stato favorevolmente colpito, ma anche impressionato e preoccupato da quanto scritto.

Monica Mistretta è una giornalista free lance, collabora con giornali online.

Carlo Sarzana di Sant’Ippolito è Presidente onorario della Corte di Cassazione, insignito dell’onorificenza  di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica ed ha svolto incarichi di professore  presso l’Università, ha scritto libri e collaborato con CNR e OCSE.

Due affermazioni della giornalista: 

– la prima, riferendosi al Capitano della Marina, Natale De Grazia, all’incontro ha detto, preoccupata, se muoio non mi sono suicidata

– la seconda, la difficoltà di trovare editori disposti a pubblicare il testo, visto gli argomenti trattati e quindi occorre riconoscere, all’editore Città del Sole, coraggio e si spera ottimi risultati di vendita.

La prefazione è di Carlo Palermo, ex giudice, adesso avvocato, che si era occupato negli anni 80 di traffico di armi in Medio Oriente e stupefacenti, a livello internazionale, che rischiò di saltare in aria con un’autobomba a Pizzolungo di Trapani, dove si era trasferito per continuare le indagini.

Il libro termina con un’intervista a Francesco Neri, il magistrato che in Calabria, con il contributo di Natale De Grazia e altri militari, si era occupato delle navi a perdere, e che conclude l’incontro dicendo che ricomincerebbe da capo, anche per onorare la memoria del Capitano.

Può sembrare che la storia raccontata sia un thriller, invece è un’analisi approfondita.

Incrociando gli atti parlamentati delle commissioni d’inchiesta sui rifiuti, la testimonianza dei militari che accompagnavano De Grazia, il cognato, le relazioni di Francesco Neri e il libro mette in discussione tutto quello che si era detto, fino ad adesso, sul traffico dei rifiuti tossici e radioattivi, classificati come scarti industriali.

Secondo l’autrice,  la scintilla, che gli ha aperto la mente, è aver ricevuto documenti interessanti da una persona, di cui non rivela le generalità.

Sulla morte di Natale De Grazia, contraddicendo tutto quanto quello che si è detto che fosse morte sull’autostrada al casello di Mercato San Severino (Salerno) per infarto, dopo aver cenato, in un ristorante che quel giorno era chiuso, pubblica nel libro la foto del volto tumefatto dello stesso, che inequivocabilmente dimostra che vi è stato un depistaggio per nascondere la causa della  morte.

Il motivo reale di questo scenario è la guerra tra gli stati.

Le indagini coinvolgono la Deutsche Bank, industrie tedesche, Siemens, compagnie marittime, società dell’ex impero sovietico, servizi argentini e il Mossad israeliano,  materiali radioattivi che partivano dagli Stati Uniti e venivano riprocessati, negli impianti italiani dismessi di Bosco Marengo (Alessandria) dell’Enea e Enel e Rotondella (Matera),  per costruire bombe nucleari, dopo il referendum contro il nucleare.

In tutti questi anni, invece di cercare di abbandonare l’opzione nucleare, altri stati hanno avviato un proprio programma nucleare: Turchia, Giordania, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti. 

I paesi interessati a questo prezioso traffico, Iran, Iraq, Nigeria, foraggiato dai paesi della Nato.

Chi si ricorda dello scandalo Iran Contras, quando gli USA fornivano materiale fissile agli iraniani,  per avere fondi da destinare ai mercenari, finanziati dagli americani, che combattevano il governo Sandinista?

L’autrice conclude la sua inchiesta, con questa frase: “Chi ha fornito materiali e tecnologie nucleari all’Iran?”

Io, invece continuo con altre informazioni.

Anni fa un giudice di Como, Romano Dolce, nel 1981 si era imbattuto in un traffico di plutonio, uranio e plutonio proveniente dalla Svizzera e aveva iniziato a a fare indagini per scoprire a chi era indirizzato.

Più andava avanti e più trovava difficolta nei suoi superiori, lo ostacolavano in tutti i modi possibili, infine lo incastrarono, accusandolo di avere acquistato per se le mitragliatrici che aveva requisito a degli imputati, fu preso per pazzo e sottoposte a visite psicologiche  e poi assolto in appello.

Fu sospeso dal servizio per 14 anni e poi riammesso in magistratura nel 2008, adesso è in pensione.

Chi tocca i fili, si brucia, come Neri e come i militari che con lui hanno lavorato.

Ma le navi? Le bombe nucleari che fine hanno fatto?

Uranio impoverito e poi arricchito nelle centrali italiane dismesse e il plutonio prodotto sono elementi che servono per costruire questi strumenti di morte.

Le navi affondate nei mari, con doppi fondi difficili da scoprire, trovati per la prima volta sulla nave Korabi, come afferma Francesco Neri nel libro, sono il deposito ideale per nascondere le armi nucleari e riprenderle quando saranno necessarie.

Natale De Grazia si era avvicinato a questo segreto, aveva capito che nei nostri mari, da Genova, passando per la Calabria, Ustica vi era la tomba di questi arsenali e mai si sarebbero potuti scoprire, ma con opportune boe potevano essere rintracciate, al momento opportuno.

Fantascienza? L’acqua del mare non fa passare le radiazioni alfa e quindi sono conservate, senza possibili intrusi, per una bella guerra distruttiva a cui un sacco di generali, come “il Dottor Stranamore”, film dl 1964 di Stanley Kubrick, sulla guerra fredda, si dedicano con gusto e follia.

Invito buoni autori, sceneggiatori e registi a preparare un nuovo thriller, tra spie, banche, stati, faccendieri, servizi segreti, P2 e generali, con centro a Malta (Daphne Anne Vella, coniugata Caruana Galizia, vi ricorda qualcosa?), passando per la Somalia (Ilaria Alpi), fermandosi a Trapani (Mauro Rostagno).

In attesa che altri giornalisti proseguano questo lavoro.

Manca l’ultimo ingrediente alla storia, in salsa calabrese, cosa ci faceva, negli anni dell’inchiesta del giudice Francesco Neri, un generale polacco a Platì, scoperto, da una squadra di Carabinieri, a casa di un personaggio, noto alle forze dell’ordine, e subito liberato?

Francesco Martino

Articolo Riviera 17 febbraio 2019