La Sanità non è per tutti

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Piccoli regni risorgono e gli ammalati muoiono

L’articolo 116, comma 3, della Costituzione prevede che possano essere attribuite alle Regioni «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» sulla base di un’intesa fra lo Stato e la Regione interessata. 

Già dal 2003,vi sono state iniziative da parte di Regioni per l’avvio di negoziati con il Governo, tale disposizione, introdotta nell’ambito della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, non ha sino ad oggi trovato attuazione.

Tra poco, malgrado le apparenze per cui potrà sembrare che facciamo parte dello stesso paese, a forza di devoluzione e decentramento, avremo uno Stato che ci obbliga a pagare le tasse per mantenere le forze dell’ordine, l’esercito e per i rapporti con gli altri stati, poiché le altre competenze sono passate alle Regioni.

In attesa di capire come saranno suddivise tra i due, iniziamo ad affrontare il capitolo sanità, proponendomi di discutere successivamente anche di scuola e istruzione.

Se le regioni iniziassero a coordinarsi tra di loro, potremmo tornare, agli stati prima del 1860, al Regno di Sardegna (Piemonte e Sardegna), al Regno Lombardo-Veneto, ai Ducati di Parma e Piacenza (Emilia Romagna), al Granducato di Toscana e e al Regno delle due Sicilie (Sud) almeno per quanto riguarda la Sanità e l’istruzione e gli altri settori che verranno assegnati alle regioni, attraverso la riforma dei rapporti tra stato e regioni, il cosiddetto regionalismo differenziato.

Una secessione dolce senza le armi come avevano provato, a fare nel maggio 1997, i “serenissimi veneti” assaltando il Campanile di San Marco, a Venezia, con il loro “tanko”.

Allora poteva sembrare una farsa o meglio una burla, visto lo spessore dei personaggi coinvolti, adesso la realtà è sotto i nostri occhi.

In un mondo sempre più diviso, ognuno a difendere il proprio interesse particolare:

  • i ricchi non disposti a pagare alte tasse, con la scusa che loro li investono, con differenze stratosferiche tra una piccola percentuale di “paperoni” e la gran massa con stipendi insufficienti
  • le regioni ricche che vogliono tenersi nel proprio territorio la maggior parte delle entrate ivi prodotte,

nemmeno il diritto di avere un’assistenza uguale su tutto il territorio è assicurato.

La giustificazione addotta ė che così ogni regione utilizza al meglio le proprie risorse, assicurando un servizio più adatto alle proprie esigenze.

Verrebbe istituito un “fondo perequativo” per compensare le differenze tra le diverse regioni.

Ogni regione contribuirebbe in piccola parte a questo fondo, in quanto la maggior parte di tutte le entrate, fino al 90% (proposta del Veneto), viene incorporata nel bilancio locale.

Abbiamo esperienza che le regioni ricche, in questi anni sono riuscite a creare poli di eccellenza, a partire dalla Lombardia, che con la politica della “sussidiarietà” ha creato un modello misto pubblico – privato, finanziando in modo massiccio il privato, generalmente di area cattolica, come la Compagnia delle Opere, vicina all’ex governatore Formigoni, ma anche molto presente nel Veneto, in questo caso in buoni rapporti anche con la Lega.

Le clientele portano voti dal Sud al Nord!

Gli scandali successi in Lombardia e Veneto, in anni recenti nel settore sanitario, non hanno sconfitto questa tendenza, anzi si cerca di avere più potere in altri ambiti di competenza dello Stato.

Parlare di Sanità pubblica al Sud non ha senso, tra ospedali non funzionanti, viaggi di speranza al Nord e spese enormi a carico dell’ammalato per visite e analisi nei laboratori privati, che ormai sostituiscono quelli pubblici che, guardo caso, sono sempre in manutenzione.

Idem sul ruolo delle regioni in tutta Italia che hanno dimostrato incapacità di gestire le loro competenze attuali, se non portare il debito oltre misura, pagate con aumento di Irpef regionali, tagli di ospedali e blocco delle assunzioni.

Era stato affrontato l’argomento su questo rivista, in occasione del referendum regionale di Lombardia e Veneto, il 22 ottobre 2017, per ottenere maggiori competenze.

Adesso il treno è in corsa e sta arrivando alla stazione di arrivo, la divisione di fatto tra regioni del Nord e quelle del Sud.

Apripista Lombardia e Veneto, a trazione leghista, accodato Emilia Romagna, a trazione PD, in pole position, Piemonte, gestione PD e buon ultimi si stanno svegliando gli altri per provare a contenere le perdite, ma ormai senza speranza.

I piddini sperano con questa mossa di bloccare le istanze leghiste per conservare il governo delle regioni, l’esperienza passata non ha insegnato molto, si apre la finestra e poi la valanga leghista distrugge tutto.

Dopo 40 anni dalla riforma delle “mutue” e la creazione della Sanità pubblica, sotto la spinta delle forze sindacali e delle lotte operaie, perché tutti fossero garantiti allo stesso modo almeno nella malattia, le forze liberiste e disgregatrici hanno vinto.

La salute è un diritto individuale, non universale.

Ognuno si arrangi e se non vive in una regione ricca, non si faccia molte illusioni di avere le stesse garanzie dei più fortunati.

Un ministro della Salute, senza esperienza, la Grillo, e un partito di false promesse, M5S, pur di restare ancorati al Governo hanno subito l’ennesimo schiaffo dalla Lega, in contrasto con quanto avevano promesso meno di 1 anno fa.

Le regioni avrannoi poteri esclusivi dello Stato su: personale, farmaci, governance, fondi integrativi, tariffe, servizi, formazione. 

Lo Stato quindi su queste fondamentali materie non avràpiù voce in capitolo.

La Regionepotrà privatizzare i suoi servizi, fare contratti ad hoc per i dipendenti, potràdifferenziare gli stipendi, gestire la sanità con aziende uniche, centralizzate, formare perfino i medici come vuole, assumere con contratti su base regionale o concorsi specifici, e nel leghismo imperante al Nord forse chiederanno di essere residenti da molti anni per poter partecipare, mettere le tasse a proprio piacimento, tutto a costo “zero” per lo Stato.

La sanità pubblica italiana, modello per tutto il mondo, in quanto garantiva tutti e a costi dimezzati rispetto ad altri paesi occidentali, deve diventare privata perché assicurazioni e fondi pensioni che investono sulla salute abbiano profitti e i costi si scaricano sulle famiglie.

La democrazia ha vinto, l’egualitarismo e i diritti per tutti sono un orpello, viva il privato.

Chi si ammala si affidi al buon cuore del capitalismo compassionevole,cioè al buon cuore dei filantropi.

E per finire con qualche buon esempio, se gli eredi del partito, il PCI, che di quella stagione di lotte per la salute e non solo, è stato l’interprete in Parlamento, hanno abiurato quei valori, nemmeno il sindacato, la CGIL, che di quel periodo, è stata la forza trainante, insieme agli altri sindacati, ha memoria della sua storia.

Come per le pensioni, anni fa, si è accodata al pensiero dominante neoliberista e di fronte all’attacco alle pensioni pubbliche, ridotte con il sistema contributivo, ha firmato, con i mitici metalmeccanici, contratti per far partire i fondi pensioni integrativi, anche nel contratto del comparto sanità, basati sulla deregolazione del lavoro, per i lavoratori è prevista la possibilità di farsi una mutua integrativa per loro e i loro famigliari, cioè di farsi curare negli ospedali privati!

Pubblicato su Rivieraweb

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