Il movimento delle donne
Perché parlare delle donne in una storia sulla scuola?
La scuola è stata parte di quel sommovimento che ha sconvolto e trasformato la realtà italiana e non solo.
Se non si ha presente la situazione della realtà delle donne precedentemente non si capisce quanti passi avanti sono stati fatti. Il passaggio da una realtà patriarcale a una maggiore libertà delle donne e a una maggiore autonomia è stato inarrestabile. Fino agli anni ’60 esisteva ancora il delitto d’onore, per il quale l’uomo che uccideva la donna per tradimento (casi di segno opposto erano previsti dal codice, ma normalmente la cronaca di quegli anni parlava delle donne “fedifraghe”) era condannato a pene più lievi rispetto alle pene previste per omicidio.
Legato a una maggiore presenza delle donne nel mondo del lavoro, dovuto allo sviluppo dell’economia e a nuovi modelli, che anche la TV tendeva a esprimere, malgrado un controllo parossistico del governo e della DC (al punto che in TV occorreva indossare delle calze non trasparenti, affinché non si vedessero le gambe nude), le donne all’improvviso emergono prepotentemente e avanzano richieste non compatibili con i modelli a cui le donne erano relegate.
Vi erano organizzazioni delle donne dei diversi partiti, ma l’esplosione del Movimento delle Donne va oltre e ottiene dei risultati incomparabili in pochi anni.
Il primo clamoroso risultato imprevisto da tutti, comprese i partiti della sinistra all’opposizione è il Referendum sul divorzio, che la DC voleva eliminare (“abrogare”).
Il divorzio in Italia era diventato Legge nel 1970, ma Chiesa cattolica e DC erano fortemente contrari e allora si andò al Referendum abrogativo e a maggio 1974, circa il 60% degli italiani voto contro per il mantenimento del divorzio.
L’Italia era cambiata e non si era capito ancora la forza di quel cambiamento.
All’improvviso le donne diventarono protagoniste, uscirono dal guscio a cui anche i movimenti “rivoluzionari” le avevano relegate. Non erano più le compagne del ciclostile o del volantinaggio.
Erano donne pensanti che mettevano in discussione il ruolo dei leader, chiaramente maschi, che per anni avevano gestito assemblee e organizzazioni “rivoluzionarie”. Le donne, che nel tempo si definivano femministe (anche se il termine ancora adesso è usato un po’ sprezzantemente), volevano che le loro esigenze non fossero relegate a dopo la rivoluzione, che il problema del ruolo delle donne fosse all’ordine del giorno “ora e adesso”, non quando si fosse conquistato il potere.
La loro forza fu tale che negli anni le loro richieste furono pressanti e per molti versi incompatibili con il Movimento che dal ’68 era sulla scena.
Per molti erano richieste “borghesi”, il problema fondamentale era la conquista del potere e del controllo operaio, su questa dualità inconciliabile ci furono discussioni, tanto che alcune organizzazioni non riuscendo a risolvere la questione si sciolsero.
Nello stesso tempo una nuova leva di studentesse si aggiungeva a quelle più “vecchie” del ’68 e per molti aspetti erano molto più radicali.
La scuola viveva queste contraddizioni, in quanto luogo di dibattito e di discussione. Le domme erano studentesse cresciute all’Università e alle scuole superiori ed erano abituate a discutere e a ragionare all’interno dei collettivi studenteschi, che erano i luoghi deputati al dibattito.
Le studentesse partecipavano alle assemblee di discussione e nacquero i “collettivi femministi”, si passò in pochi anni dalle organizzazioni femminili dei partiti, ai collettivi femministi, questo semplice aggettivo mostra il passaggio epocale, non più relegate ai fornelli e alla cura dei figli a casa, mentre il maschio gestiva il potere e si occupava delle cose più importanti o andava a vedere la partita o al bar.
Si mise in discussione la divisione dei ruoli, gli uomini presero, in parte, coscienza di queste tematiche, il loro ruolo fu messo in discussione e si iniziò a dividere i compiti.
E’ chiaro che questo coinvolse una parte della popolazione italiana, quella forse a reddito più elevato e uscito dalle scuole, ma i cambiamenti sono ancora presenti, anche se le giovani di adesso non hanno memoria e sono relegate di nuovo a figure femminili e i ragazzi tendono a non accettare questi cambiamenti.
In quegli stessi anni altre grandi conquiste furono ottenute, dai servizi sociali, alla legge sull’aborto, nel 1978, che in Italia precedentemente puniva chi abortiva.
Fino ad allora le donne erano lasciate al loro dolore, spesso da sole, e ricorrevamo a cliniche abusive, con costi spesso eccessivi, oppure a donne più esperte per abortire, utilizzando strumenti pericolosi, che rischiavano di ammazzarle.
Fu l’onda di questi anni ’70, maledetti per chi fu impaurito da questo avanzare, a portare l’Italia tra le nazioni civili e furono quegli studenti e quelle studentesse a lasciare una traccia di tutto questo.
Misero in discussione il ruolo passivo delle donne anche nei rapporti sessuali, le loro esigenze di essere soddisfatte e di non essere un corpo per il piacere maschile, di non essere prede, ma di essere rispettate come donne. Si parlava di sessualità senza problemi e si capì anche come regolare le nascite, si discuteva di anticoncezionali e di riproduzione consapevole.
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