Le rivolte operaie
Un video del 75 del Collettivo Cinema Militante, racconta quello che attraversava l’Italia e la forza degli operai
La canzone Contessa di Paolo Pietrangeli rimanda a quel periodo di forte conflitto
Una caratteristica peculiare della situazione italiana è la durata delle varie rivolte e anche nelle fabbriche questa situazione durò molti anni
In contemporanea con le lotte studentesche, in varie parti dell’Italia, dal Nord al Sud si innestarono rivolte contro il potere padronale.
Vi erano state già ad inizio anni 60, la rivolta a Genova, giugno 1960 contro il Governo Tambroni, che godeva dell’appoggio dei fascisti, che cadde e aprì una nuova fase dei governi con l’appoggio dei socialisti, e nel luglio 1962 la rivolta in Piazza Statuto a Torino davanti alla sede dell UIL, colpevole di avere firmato un accordo separato con il sindacato “giallo” SIDA, legato alla Fiat, contro la volontà di FIOM-CGIL e FIM-CISL.
In questi anni 2011-2012, sempre alla Fiat, assistiamo alla stessa situazione, FISMIC (ex SIDA), UILM e FIM firmano accordi separati, accettando i voleri dei padroni e dei loro amministratori, negli anni 60 si chiamava Valletta, adesso Marchionne.
Protagonisti di quelle lotte sono i giovani operai, le “magliette a strisce” Genova, gli operai meridionali a Torino.
In tutti questi casi era una protesta della nuova classe operaia, giovane, in qualche modo senza l’esperienza della guerra in una fase di quello che sarà definito il “miracolo italiano”.
Alla protesta contro il volere padronale a Torino, si aggiunge un nuovo soggetto il lavoratore immigrato, che viveva tutte le contraddizioni in una nuova realtà, in condizioni disastrose, vivendo in appartamenti superaffollati, nei garage o affittando un posto letto.
Si tenga conto che i meridionali, non erano ben visti dai residenti in quanto portatori di nuove esigenze e di vissuti differenti.
I partiti che dovevano rappresentarli, la sinistra di allora, PCI e PSI, non riusciva a capire o a mettersi in sintonia con questi soggetti, non facilmente assimilabili agli operai del nord, abituati alle regole delle fabbriche, a seguire le indicazioni del partito.
Per questo nel 1962, furono visti come teppisti anche dai partiti che dovevano rappresentarli.
E’ una costante che si ripeterà negli anni 70 e successivamente, di fronte a lavoratori o giovani non facilmente classificabili o inquadrabili nelle proprie categorie, il partito di allora che doveva raccogliere quella spinta, si ritrarrà spesso spaventato.
Una data indicativa per questi eventi è il 3 luglio 1969, dopo mesi di lotta, iniziati ad aprile per protestare contro le uccisioni di due lavoratori a Battipaglia e proseguita per tutto quel periodo per rivendicazioni sul salario e sugli straordinari.
In quella data si coagula tutta la forza conquistata in fabbrica e si allargano le richieste dei giovani operai immigrati, che non si accontentano di pochi spiccioli e differenziati per le diverse categorie, chiedendo aumenti uguali per tutti e allargando le rivendicazioni per il diritto alla casa.
Gli aspetti fondamentali di questa fase sono il ruolo assunto dagli stessi operai, che si organizzano autonomamente, saltando la mediazione dei sindacati, anche la FIOM, che scontava la sconfitta degli anni 50 e creando organizzazioni autonome.
Terminata la fase alta dei movimenti, in una fase successiva i sindacati riescono a riprendere il controllo e creano il Consiglio dei delegati di fabbrica.
Si crea una saldatura tra le avanguardie di fabbrica e gli studenti, che avevano iniziato a mettere in discussione l’autorità nella scuola.
Il luogo di confronto sono le assemblee tra operai e studenti, che diventano il luogo delle decisioni.
In quella giornata in Corso Traiano, davanti alla Fiat, si riescono a far convergere insieme tutte le fabbriche in lotta, allargando le richieste anche su temi sociali, come casa e pensioni.
In questo senso la lotta si allarga a tutta la popolazione, quando la polizia attacca i manifestanti e coinvolge oltre il quartiere di Mirafiori, i comuni confinanti di Nichelino e Moncalieri, che aiuta in tutti i modi possibili i manifestanti.
Le lotte di quegli anni attraversano tutte le realtà operaie, Milano, Venezia, Genova, Brescia, Vicenza, Roma e riescono a unire le lotte di fabbrica sul salario e sulla nocività, con il diritto dei lavoratori al controllo sulle condizioni del lavoro e la nascita dei delegati di fabbrica.
Da quel ciclo di lotte vengono le conquiste di quegli anni, lo Statuto dei Lavoratori (1970), il diritto alla pensione, la sanità pubblica per tutti.
Sull’altra questione della casa, si innesta un ciclo di lotte per ottenere la casa pubblica e il diritto a un’abitazione decente. In quegli anni una forte immigrazione per la richiesta delle fabbriche del Nord, sconvolge le città, impreparate a poter soddisfare una tale quantità di persone e gli operai, spesso con le loro famiglie, si trovano ad abitare in case inadatte, spesso con bagni in comune sul balcone, o in garage i nei letti in affitto.
I comuni iniziano a costruire case nelle periferie delle città, casermoni in cui confluiscono le realtà più disparate.
A Torino, Milano, Roma iniziano le occupazioni delle case in costruzioni, coordinate da organizzazioni politiche extra-parlamentari (le più note, Lotta Continua, Avanguardia Operaia, Movimento Studentesco, Manifesto) che vedono coinvolte in primo luogo gli studenti a fianco delle famiglie in lotta.
Quei casermoni, in cui hanno spedito questi lavoratori, guardati ancora adesso gridano vendetta.
Sono in periferia, spesso con servizi inadeguati, isolati da un contesto di crescita culturale e nessuno potrà risarcire quelle persone che lo si sono trovate a viverci.
Quel ciclo di lotte operaie, dopo aver ottenuto queste conquiste, tende ad esaurirsi, anche per la controffensiva dei padroni.
La Fiat, in crisi, inizia ad eliminare i lavoratori più coscienti, che contrastavano l’arbitrio dei capi, e riesce a riprendere il controllo.
Nel 1980, dopo un mese di lotta contro la cassa integrazione di 23 mila lavoratori, gli operai, ormai non più in sintonia con la città, che li lascia soli a difendere la loro fabbrica, il loro fortino, vengono sconfitti da una manifestazione di capi e lavoratori (“40 mila”) che attraversa la città.
I sindacati accettano, senza discussione, l’accordo proposto dalla Fiat.
E’ finito un ciclo, la direzione, eliminate le avanguardie storiche, che davano fastidio anche ai sindacati, riprende il controllo della fabbrica.
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