Lavoro e salute:exBP

Ambiente - Cultura - Lavoro - Scuola

image_pdfimage_print

BP: lavoro e fabbriche dei veleni

Raccontare la storia della Bp, significa parlare dello “sviluppo” industriale  in Italia, dei sogni, errori e catastrofi e le tragedie dell’illusione della crescita infinita.

Significa raccontare le tragedie nascoste, dimenticate delle fabbriche della morte, con il ricatto del lavoro anteposto alla vita delle persone, esempio ultimo è l’ILVA di Taranto, ma in Calabria abbiamo avuto la Pertusola di Crotone, la Marlane di Praia a Mare, esempi di capitalismo rapace che distrugge territorio e persone, non solo chi lavora dentro le fabbriche.

A Siderno dal 1979 è accaduto questo, lo scontro tra chi pensava che la fabbrica avrebbe portato lavoro e chi si è trovato i veleni dentro le case.

Il sogno di un lavoro a casa, senza dover emigrare si è trasformato in incubo.

Allora non molti avevano chiara la visione di cosa significasse avere una fabbrica chimica sotto casa, non molti sapevano dell’ACNA di Cengio, Savona, al confine con il Piemonte, vicino al fiume  Bormida, con gli avvelenamenti del territorio e dei fiumi del Piemonte, dall’inizio della produzione, e le lotte dei contadini.

 Adesso non molti sanno della MITEMI di Trissino, Vicenza, con presenza di valori molto alti di Pfas ( sostanze perfluoro alchiliche) nei fiumi e nel sangue dei residenti dei comuni della zona, chiusa nel 2018.

Era più forte la conoscenza sugli effetti nefasti del nucleare e i rischi sulla salute umana, dopo il disastro di Chernobyl.

Il referendum del 1987 ė stato l’esito positivo di quella fase di lotte ambientali e delle lotte operaie e studentesche.

La ex BP ha una storia simile, inquinamento, emissioni di odori nauseabondi, persone che devono allontanarsi da casa, esplosioni e anche un cilindro che ti arriva in casa, per fortuna senza morto.

La BP fu aperta tra il disastro di Seveso in Lombardia, del 10 luglio 1976, causata dalla fuoriuscita di diossina dalla Icmesa di Meda e il disastro di Bhopal in India del 3 dicembre 1984, con la fuoriuscita di isocianato di metile, che comportò migliaia di morti.

Nel 1979, non molto distante dal centro cittadino, in un capannone abusivo e subito chiuso dal Sindaco Peppino Brugnano, apre il Laboratorio BP per la produzione di intermedi farmaceutici, ufficialmente per produzione di CIMETIDINA, utilizzata per l’ulcera gastrica.

Spostata da Treviglio, Bergamo, per le proteste della popolazione, fu “autorizzata” dalle famiglie mafiose, altrimenti non sarebbe stata installata e pensiamo che anche a loro fosse chiaro che non producesse acqua pura.

Qualche anno dopo, riapre in una zona più lontana dalla sede precedente, vicino al cimitero, in zona Pantanizzi, con case presenti dall’inizio del 1900, in una zona destinata ad attività artigianali e piccole industrie, anche se tali attività, dovevano essere destinate al confine con il Comune di Marina di Gioiosa, almeno un chilometro più distante, dove scorre il torrente Torbido.

Tra il 1982 e il 1985, sotto la spinta del Comitato Ecologico di Pantanizzi e zone limitrofe, si sviluppa un movimento dei residenti che lotta per la chiusura della “fabbrica delle puzza”, oppure la nuova Seveso, quando non viene accostata alla Bhopal, dai giornali, anche nazionali che si occupano della questione.

Ci sono interrogazioni parlamentari, una lettera a Sandro Pertini, presidente della Repubblica, occupazione del comune, interventi di esperti, a favore e contro, manifestazioni con Giorgio Nebbia e Stefano Rodotà.

I protagonisti di allora si rendono conto che spesso vengono presi in giro dai partiti, come quando un sindaco, dopo un incontro con il Comitato Ecologico, la sera prepara una delibera concordata con il proprietario, in modo che venga poi annullata dai giudici.

In Consiglio Comunale, il proprietario sputtana pubblicamente il Sindaco.

Anche un vicesindaco va a Roma e lascia la delicata scelta di autorizzare la fabbrica a un consigliere, salvo poi scaricare su quest’ultimo la responsabilità.

Oppure la provocazione di un consigliere comunale, residente nella zona inquinata, che porta una bottiglia d’acqua del posto invitando gli altri, che affermano che non ci sono rischi,  di berla se sono così sicuri.

Nel 1985, il Comitato decide di chiudere la lotta, accusando tutti i partiti del loro comportamento.

Una riflessione riguardo al ruolo dei tecnici e dell’importanza di un ruolo delle associazioni, di essere informati e preparati per contrastare quelle che sembrano verità incontrovertibili: in piena battaglia di idee, un professore di Chimica dell’Università di Catania, Uccella, dichiarava ai giornali che ci vorrebbero tante fabbriche sicure come la BP.

Ma anche la Regione fa la sua parte: con Deliberazione di Giunta Regionale n.4646 del 23.11.1992  la ditta Laboratorio BP S.r.l. ottiene l’autorizzazione ai sensi degli artt. 6 e 7 del DPR 25.5.88 n. 203 per la costruzione di un nuovo impianto di smaltimento di rifiuti speciali tossici e nocivi, mediante termodistruzione a servizio del proprio stabilimento in sostituzione di quello esistente.

Il giorno 5 novembre 1994 lo scoppio di un reattore situato all’interno dell’industria chimica provocava la sospensione dell’attività produttiva e dell’autorizzazione da parte della Regione.

Nel 1998 con Deliberazione di G.R. n.6174 del 11.11.1998 viene rilasciata un’autorizzazione all’esercizio delle attività di smaltimento mediante termodistruzione, di rifiuti speciali e/o pericolosi nell’impianto, provenienti anche  da terzi

La fabbrica però non ha più ripreso le attività dopo lo scoppio del 1994, ed è successivamente fallita e affidata a un curatore fallimentare.

Nel 2003 dopo un ulteriore controllo da parte dei Carabinieri e relativa relazione, l’Ufficio del Commissario Governativo per l’emergenza ambientale nella Regione Calabria predispone un piano per la bonifica della fabbrica per 300 tonnellate.

Ma la realtà supera le più rosee previsioni, abbandonati sui terreni accanto all’edificio e coperti dalla folta vegetazione si trovano circa 1.500 tonnellate di sostanze tra cui:  circa 700 fusti di varia tipologia,  contenenti prodotti chimici tra i quali: benzaldeide, idrazina idrato, diclorobenzene, etossietanolo, soda caustica, monometilammina, 8 cisterne interrate e due silos esterni contenenti acido solforico, acido cloridrico, alcool butilico, alcool isopropilico.

In sintesi: solventi clorurati, solventi non clorurati, amine aromatiche, alcoli, farmaci (cimetidina), nitrito di sodio, materiali con amianto.

Trattasi di materiali o rifiuti con  irritanti, nocivi, tossici, anche cancerogeni, teratogeni, mutageni ed ecotossici, sono prodotti o rifiuti che possono interagire fra loro e diventare esplosivi.

Nell’estate 2003 con un fondo di 550 mila € si riesce a pulire l’area, fare un quadro esauriente delle sostanze e smaltire 650 tonnellate, rimangono circa 900 tonnellate abbandonate.

Un successivo finanziamento, nel 2005, di 800 mila € non è utilizzato per problemi burocratici della ditta vincitrice.

Sempre nel 2005, a marzo, malgrado la fabbrica fosse sotto sequestro, vi è un tentativo di “rubare” materiale dentro la fabbrica, con versamento di 8 mila litri di acido butilico nel terreno, con aria irrespirabile e alcuni Carabinieri e Vigili del Fuoco addetti all’intervento finiti in ospedale.

A giugno, ennesima esplosione di un reattore che vola nella zona.

Dalle carte che abbiamo letto, depositati nel Comune, in particolare la relazione del professore Sindona dell’Università della Calabria, prodotta per il Tribunale dopo il sequestro, nel 1994, risulta  che non si produceva solo Cimetidina, ma in periodi diversi anche altri prodotti, almeno 11.

Vi è un elenco di circa 2500 bidoni, fusti o cisterne, con almeno 20 sostanze cancerogene.

Risulta anche che le informazioni sui cicli di produzione non erano presenti e  nemmeno i lavoratori sapessero dei rischi che correvano.

Dopo la bonifica del 2003, e il mancato completamento previsto nel 2005 tutto è rimasto dimenticato, faldoni chiusi negli armadi della Regione e in quelli del Comune, né Sindaci, né Commissari Governativi, che si sono succeduti alla guida del Comune,  se ne sono occupati o preoccupati. 

È stato solo dopo il nostro intervento, come cittadini all’inizio, aprile 2016 e successivamente come Comitato a Difesa della Salute dei Cittadini, da giugno, che il Sindaco Fuda e l’assessore Ambiente, Romeo, hanno palesato enorme preoccupazione per la situazione della ex BP, che ritenevano più pericolosa della SIKA, mentre per noi il problema reale era quest’ultima.

A inizio settembre 2016, troviamo la documentazione del progetto di completamento, da cui abbiamo riportato alcuni dati.

Quindi analizziamo, come Comitato i documenti, informiamo il Sindaco, che immediatamente li invia alla Regione con sollecito di intervenire.

Nel frattempo informiamo la popolazione e convochiamo per il 26 settembre un’assemblea e si chiede un’assemblea del Consiglio Comunale aperto.

Il 12 ottobre al Consiglio di discute di tre questioni: BP, SIKA e discarica di San Leo.

A febbraio 2017, all’unanimità, si approva un articolo, inserito nello Statuto del Comune, che vieta installazione di fabbriche chimiche che comportino rischi per la popolazione, l’ambiente.

Sempre a febbraio 2017, esplode improvvisamente la problematica relativa all’inquinamento dei pozzi privati della zona di Pantanizzi/Limarri, e dei piezometri della SIKA, oggetto di un successivo articolo di approfondimento.

A seguito di varie assemblee, incontri in Regione con i responsabili, l’8 luglio circa 3 mila cittadini scendono in piazza, su invito del Sindaco e di 70 associazioni o gruppi presenti nel territorio.

Non è stato facile ottenere un finanziamento da parte della Regione, causati dalla mancanza di fondi destinati alla scopo, in quanto non si è riuscito a inserire la ex-BP tra i siti di interesse nazionali (SIN), malgrado la documentazione fosse stata inviata anche al Ministero dell’Ambiente.

  L’insistenza del Sindaco Fuda alla fine riesce a ottenere da parte dell’assessorato Ambiente della Regione 300 mila €, a settembre 2018.

 Anche su sollecitazione dei Commissari Governativi, subentrati alla guida del Comune, a causa dello scioglimento per infiltrazioni mafiose, successivamente l’impegno ad altri 200 mila, per il 2019, in modo da poter completare l’ultimo piano proposto dal Comune di 495 mila €, visto che il precedente piano di 1.500 € non trovava copertura finanziaria dalla Regione.

Al momento per far partire i lavori è stato inviato un piano alla SUAP, che tiene conto solo sui fondi disponibili.

Nel novembre 2017, dopo che un giudice ha riconsegnato al curatore fallimentare la fabbrica, anche per poterla ripulire dalla folta vegetazione, che nascondeva la visione di molte zone interne, con il rischio di incendi, esplosioni tossiche e cancerogene, possiamo avere un quadro chiaro della situazione all’interno della fabbrica.

Oltre i bidoni e fusti aperti e corrosi che esalavano e continuano a esalare veleni, oltre che intorpidire l’area con la puzza, si scoprono dei bidoni fusi, a causa di un incendio, con conseguenze imprevedibili, in quanto le sostanze presenti possono essersi ricombinati e formare prodotti cancerogeni.

In questi anni qualcuno più volte è entrato nella fabbrica ed ha fatto incetta di sostanze facilmente utilizzabili, come l’acido solforico, quello bromidrico, come è risultato allo sguardo di cittadini che conoscevano bene la situazione precedente, ma anche  del  Curatore fallimentare, entrato dopo la pulizia delle erbacce.

Sono entrati con camion asportando cisterne di grandi dimensioni.

In conclusione, al momento ci sono 270 bidoni o fusti, anche corrosi o bruciati, alcuni mezzo svuotati, contenenti le seguenti sostanze: mercapturo, toluene, diclorometano, idrazina, fenoli diclorobenzene,  formaldeide, cimetidina, alcool isopropilico.

Ci sono 11 cisterne sottoterra con diverse altre sostanze.

In totale circa 300 tonnellate.

Vi è presenza di coperture in amianto, 900 mq, e i reattori della produzione.

 Il forno di incenerimento svetta alto e possente a ricordarci lo spettro che incombe sulla città, nel caso che non si inizino i lavori e per incendio, causa caldo eccessivo, esplodano i bidoni, o un incendio si diffonda nelle erbacce di nuovo presenti.

Dopo anni di attesa, quanto tempo passerà prima che SUAP pubblichi il bando?

Potremo trascorrere l’estate in arrivo senza l’incubo della puzza o meglio dei veleni silenziosi che si diffondono nell’aria?


Pubblicato il 20 aprile su il Meridione, con sede a Praia a Mare, Cosenza

Views: 8