Europa non e’ donna

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Europa non e’ donna

02/12/2014 Lavoro Politica Scuola 0
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 PROSSIMA FREGATURA?

Tra tante norme che non aiutano le donne nel loro ruolo e nella società, ancora pensioniDonne

ci sono meno possibilità per le donne  di avere ruoli importanti e quindi  mediamente il loro reddito è inferiore a quello degli uomini, in Italia fino a  qualche anno fa, 2010 esisteva da sempre una norma per cui alle donne era  concesso di andare in pensione per vecchiaia 5 anni prima degli uomini (a 60  anni, invece che 65 come gli uomini).

Una discriminazione positiva, in quanto a nessuna donna era vietato di  continuare a lavorare oltre i 60 anni.

La Commissione europea ha messo in mora l’Italia, ritenendo che questa norma penalizzasse le donne che lavoravano nei vari enti statali (PI, scuola, Comuni,..)!!.

Il rischio per l’Italia era di dover pagare una multa se non si fosse adeguata a questa norma europea.

Il governo Berlusconi, Tremonti, Sacconi, Maroni niente ha fatto per chiarire questa semplice verità lampante, anzi non si è opposto, come fa spesso per cause meno nobili e prontamente ha approfittato di questa mora per aumentare l’età della pensione per le donne, in pochi anni le donne del pubblico hanno raggiunto i 65 anni, e adesso lo stesso avviene per le lavoratrici del privato.

In questi giorni arriva la risposta a una lettera di una donna riguardo la nuova norma che riguarda il DIRITTO per le donne di andare in pensione ANTICIPATA 1 anno prima degli uomini.

Non so il motivo di questa lettera o il senso della richiesta, credo che questa signora abbia fatto un enorme piacere al governo e a chi governa in Europa.

Dopo averci tartassato con tasse, tagliandoci le pensioni con il passaggio al retributivo, e in pratica eliminando le pensioni ANTICIPATE per giovani e meno giovani, adesso questa richiesta alla Comunità europea potrebbe portare a una messa in mora dell’Italia, con le conseguenze che conosciamo  la parificazione tra uomini e donne, tutti uguali, tutti fregati, tutti con gli stessi contributi.

Siamo uguali uomini e donne, quando una discriminazione positiva diventa una colpa, significa che gli uomini che sono ai governi non conoscono le fatiche e il lavoro nascosto che abbiamo scaricato sulle donne ed è per questo che chiedere che al massimo con 40 anni di contributi occorre andare in pensione è il minimo per cui lottare.

E nessuno invii lettera alla Comunità europea, anche se con i precari hanno dato una risposta positiva.

Questa volta con i precari forse non pagheranno le multe, prima o poi occorreva metterli in ruolo, ma ho il dubbio che per le donne si adegueranno subito, questo è il governo delle donne veline, come il precedente.

Queste brave signore si opporrano o andranno dal parrucchiere per farsi belle, quando saranno chiamate davanti alla Commissione europea per discutere di questa causa?

 

COMMISSIONE EUROPEA

DIREZIONE GENERALE GIUSTIZIA

Direzione D: Uguaglianza

Unità D.1. Normativa sulla parità di trattamento

Bruxelles, o A

JUST/DI/IB/ml/

…………………

Oggetto: CHAP(2014)02996 Riforma delle pensioni in Italia Legge 22 dicembre 2011, n. 241

Gentile Sig.ra ,

La ringrazio della Sua lettera di denuncia del 19 marzo 2013, protocollata con il numero CHAP(2014)02996, relativa alla riforma delle pensioni in Italia di cui alla legge 22 dicembre 2011, n. 241.

Ci scusiamo per il ritardo con cui rispondiamo alla Sua lettera, dovuto a un errore di registrazione e ad una conseguente erronea attribuzione della medesima ad un altro ufficio della Commissione.

La legislazione dell’UE contro le discriminazioni nell’ambito delle pensioni e della previdenza sociale è contemplata da due direttive: la direttiva 79/7/CEE1 e la direttiva 2006/54/CE2.

La direttiva 79/7/CEE, che riguarda in particolare i regimi pensionistici legali, attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di regimi legali di sicurezza sociale pur prevedendo alcune eccezioni a tale principio, soprattutto per quanto riguarda la determinazione dell’età pensionabile. Nell’ambito della sicurezza sociale, quindi, conformemente al diritto dell’UE, gli Stati membri possono ancora mantenere età di pensionamento diverse per gli uomini e per le donne e non hanno l’obbligo giuridico di fissare lo stesso limite d’età.

La direttiva 2006/54/CE in materia di occupazione e impiego contempla i regimi pensionistici professionali. Ai sensi di tale direttiva, non è consentito stabilire età e condizioni di pensionamento differenti per uomini e donne ai fini della maturazione del diritto ad una pensione professionale. In conformità dell’articolo 7, paragrafo 2, la direttiva si applica altresì ai regimi pensionistici di una categoria particolare di lavoratori come quella dei dipendenti pubblici, se le relative prestazioni sono versate al beneficiario a motivo del suo rapporto di lavoro con il datore di lavoro pubblico.

Poiché i regimi pensionistici del settore pubblico rientrano nel campo di applicazione della direttiva 2006/54, un’età pensionabile diversa per gli uomini e le donne in tale settore costituisce una violazione della direttiva 2006/54, che l’Italia ha recepito con il decreto legislativo 5/2010 (GU del 5.2.2010 n. 151).

Nella causa C-46/07 -2 , la Corte ha dichiarato che mantenendo in vigore una normativa in forza della quale i dipendenti pubblici hanno diritto a percepire la pensione di vecchiaia a età diverse a seconda che siano uomini o donne, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi di cui all’art. 141 CE(attuale articolo 157 del TFUE).

La legge 22 dicembre 2011, n. 214, stabilisce all’articolo 24, comma 10 relativo alle “Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici”, che le cosiddette “pensioni anticipate”  pagabili cioè prima che il lavoratore raggiunga l’età che diritto alla pensione di vecchiaia possono essere erogate sia ai lavoratori del settore privato che a quelli del settore pubblico che abbiano maturato i requisiti contributivi richiesti, i quali differiscono a seconda del sesso del lavoratore: a partire dal I gennaio 2014, sono richiesti 41 anni e tre mesi per le donne e 42 anni e tre mesi per gli uomini.

Essendo stata interpellata da diversi cittadini sullo stesso argomento della Sua denuncia, la Commissione europea ha già chiesto alle autorità italiane chiarimenti in merito alla legge 22 dicembre 2011, n. 214 e alla riforma delle pensioni.

A seguito dei suddetti contatti tra le autorità italiane e i servizi della Commissione in merito alla questione, la Commissione ha deciso di avviare una procedura d’infrazione a norma dell’articolo 258 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea nei confronti dell’Italia mediante l’invio, in data 18 ottobre 2013, di una lettera di costituzione in mora per violazione del diritto dell’Unione sulla parità di trattamento e, in particolare, dell’articolo 7 della direttiva 2006/54/CE.

L’esito della procedura, che richiederà un certo tempo, Le sarà comunicato a tempo debito.

Confidando che queste informazioni possano esserLe utili, Le porgo distinti saluti.

Andreas Stein

Capo unità


1 Direttiva 79/7/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1978, sull’attuazione graduale del principio di parità di

trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU L 6 del 10.1.1979, pag. 24).

2 Direttiva 2006/54/CE, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della

parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione) (GU L 204 del

26 luglio 2006, pag. 23).

3

Causa

C-46/07, Commissione

delle Comunità europee

contro

Repubblica

italiana,

Raccolta

della

Giurisprudenza 2008 pag. 1-00151.

Commission

européenne/Europese

Commissie,

1049

Bruxelles/Brussel,

BELGIO

Tel.

+32

229-91111

Commission européenne/Europese Commissie, 1049 Bruxelles/Brussel, BELGIO Tel. +32 229-91111

 La lettera della Commissione Europea

 Commissione Europea



Ordini del giorno alla Camera

Quota 96

La Camera,
premesso che:
la riforma pensionistica Fornero (da alcuni meglio chiamata «manovra pensionistica», per aver avuto l’unico scopo di fare cassa), ha commesso un clamoroso errore perché non ha differenziato la normativa previdenziale relativa al comparto della scuola rispetto alla generalità dei lavoratori, come peraltro effettuato da precedenti provvedimenti analoghi, non tenendo in alcun conto il fatto che i lavoratori della scuola possono andare in pensione un solo giorno all’anno, il 1o settembre, indipendentemente dalla data di maturazione dei requisiti, per le giuste esigenze di funzionalità e di continuità didattica;
il problema è conosciuto anche con il nome di «quota 96», che fa riferimento alla possibilità di andare in pensione (in base alla previgente disciplina pensionistica) con almeno 35 anni di servizio a cui si somma l’età anagrafica in modo da raggiungere la «quota 96»;
a seguito di verifiche fatte tra il 2013 e il 2014 è emerso che il numero di lavoratrici e lavoratori interessati è molto prossimo a 4000 mila unità. Da fonti sindacali recenti, invece, si apprende che il numero si sarebbe ridotto a 3000,

impegna il Governo

???a trasmettere al Parlamento una relazione contenente la verifica del numero complessivo effettivo dei lavoratori nella situazione descritta in premessa;
ad adottare, con il primo provvedimento di natura legislativa possibile, una norma per il personale della scuola che abbia maturato i requisiti entro l’anno scolastico 2011/2012, ai sensi dell’articolo 59, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n.?449, e successive modificazioni.

9/2679-bis-A/28.?Pannarale, Airaudo, Placido.

 

Opzione Donna

La Camera,
premesso che:
l’articolo 1, comma 9 della legge n.?243 del 2004 (cosiddetta Riforma Maroni), ha introdotto un regime sperimentale, noto come «Opzione Donna», che consente alle donne di conseguire il diritto all’accesso anticipato al trattamento pensionistico in presenza di un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni o di un’età pari o superiore a 57 anni, per le lavoratrici dipendenti, e a 58, per le autonome, dietro la rinuncia alla parte retributiva dell’assegno previdenziale che viene quindi interamente liquidato con un calcolo che comporta una decurtazione media del 25-30 per cento;
la suddetta facoltà, che avrebbe dovuto avere scadenza il 31 dicembre 2015, ha esercitato negli anni una forte e crescente attrazione su quelle lavoratrici prossime alla pensione, soprattutto dopo il significativo innalzamento dei criteri di accesso al pensionamento introdotto dalla Riforma Fornero, nonostante abbia incontrato sul suo percorso problemi applicativi. L’Inps infatti, con un’interpretazione restrittiva della norma, applica il suddetto regime ricorrendo allo strumento della finestra mobile ed individuando quale momento in cui si matura il diritto all’accesso al trattamento pensionistico quello della sua effettiva decorrenza, modificando, in tal modo, i termini entro cui esercitare l’opzione stabilendoli, vista l’anticipazione di 12 mesi che viene a determinarsi con l’applicazione delle cosiddette finestre, al 31 dicembre del 2014;
il motivo di tale restringimento temporale è contenuto in due distinte circolari dell’Inps, la n.?35 e la n.?37 del 2012 secondo le quali il termine ultimo stabilito dalla norma, cioè il 31 dicembre 2015, va inteso come scadenza per l’accesso al trattamento pensionistico tenendo conto della «finestra mobile». Questo significa che le lavoratrici dipendenti che volessero optare per il suddetto regime previdenziale dovranno maturare i requisiti entro il corrente mese di novembre 2014, quelle del pubblico impiego entro il mese di dicembre p.v, mentre per le lavoratrici autonome il termine di maturazione è già scaduto lo scorso mese di maggio 2014;
pertanto tale interpretazione, peraltro del tutto arbitraria ed adottata dall’Inps secondo i principi di minor spesa e di maggior risparmio, è fortemente penalizzante e discriminatoria. Infatti se l’opzione per il sistema di calcolo contributivo è esercitabile da parte delle lavoratrici la cui finestra mobile si apra entro il 31 Dicembre 2015, non lo sarà, per le lavoratrici per le quali la finestra si apre dal 10 Gennaio 2016 e che quindi non potranno accedere anticipatamente al trattamento pensionistico. Analogamente saranno escluse tutte quelle lavoratrici che, pur avendo maturato la finestra mobile in tempo utile per l’accesso al regime, presentino domanda di pensione successivamente alla scadenza del regime opzionale;
l’articolo 24, comma 14, del decreto-legge n.?201 del 2011, cosiddetto decreto Salva-Italia, ha previsto che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze dei trattamenti pensionistici già vigenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge medesimo continuino ad applicarsi, tra l’altro, alle lavoratrici contemplate dal regime sperimentale di cui all’articolo 1, comma 9, della legge 243 del 2004;
alcuni dati possono rappresentare quanto la riforma Fornero abbia inciso sulla decisione delle donne di ricorrere al regime speciale. Infatti nel 2009 le richieste di pensionamento anticipato con il metodo contributivo erano state appena 56, salite a 518 nel 2010 e a 1.377 nel 2011. All’indomani del varo della riforma, nel solo 2012 si sono registrate 5.646 richieste, numero salito a 8.846 con riferimento al 2013. A fine agosto il numero, nel solo 2014, ha raggiunto le 7332 unità, e si stima che procedendo a questo ritmo, pari a circa mille al mese, a fine anno raggiungeranno circa 12.000 unità;
l’Inps non ha fino ad oggi cambiato il suo atteggiamento nonostante il Parlamento abbia già impegnato il Governo, con due distinte risoluzioni, anche allo scopo di evitare dispendiosi contenziosi, molti dei quali già avviati, a dissuadere l’Inps dall’applicare le sue stringenti regole;
tale opzione non va valutata rispetto ai suoi costi effettivi, peraltro contingentati nel tempo, ma sul valore aggiunto in termini di welfare che forniscono le donne in ambito familiare e sociale, specialmente in un paese come l’Italia dove il lavoro di cura grava ancora prevalentemente sulle donne;
la richiamata norma istitutiva del regime sperimentale prevede inoltre che entro il 31 dicembre 2015, il Governo verificherà i risultati della sperimentazione ai fini di una sua eventuale prosecuzione,

impegna il Governo:

a sollecitare l’INPS, adottando iniziative volte ad evitare l’applicazione arbitraria quali requisiti per la decorrenza del trattamento pensionistico di cui all’articolo 1, comma 9 della legge n.?243 del 2004, sia del criterio della finestra mobile che di quello dell’aspettativa di vita, al fine di considerare valida la semplice maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2015, come peraltro chiaramente definito nella citata disposizione di cui all’articolo 24, comma 14, del decreto-legge n.?201 del 2011;
ad estendere il regime sperimentale cosiddetta «Opzione donna» oltre l’anno 2015, al fine di consentire a quelle donne ingiustamente penalizzate dai criteri restrittivi applicati dall’Inps, di accedervi.

9/2679-bis-A/30.?Nicchi, Marcon, Pellegrino, Melilla, Airaudo, Placido.

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