Ogni regione, la sua scuola?

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Ogni regione, la sua scuola?

24/02/2019 Lavoro 0
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“Ignoranza”, diritti alla conoscenza e secessione mascherata

Questo è il secondo articolo che scrivo, dopo quello sulla sanità, già pubblicato su Riviera il 3 febbraio, al quale rimando per gli aspetti generali,  in merito alla discussione in atto tra alcune regioni del Nord, a partire da Veneto e Lombardia, a cui si ė aggiunta l’Emilia Romagna e si stanno aggiungendo altre e lo Stato in termini di trasferimento di competenze su sanità, lavoro, assistenza, salute, ambiente, istruzione.

Da anni si assiste da parte di molti politici e personaggi, che io definisco “barbari ignoranti”, a una politica di attacco alla scuola, nata dalla riforma della scuola media degli anni 60 e dalle lotte dei lavoratori e studentesche degli anni settanta.

A livello internazionale, molti organismi di tipo economico, come l’OCSE, in questi anni si sono assunti il ruolo di definire le strategie scolastiche, secondo il verbo neoliberista dominante.

In Italia un ruolo importantissimo, se non fondamentale, lo ha assunto la Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, con programmi che tendono a circoscrivere l’educazione come semplice supporto all’economia, o meglio alla sua dipendenza dalle esigenze industriali, viste come unico aspetto della funzione della scuola, sia le superiori che l’Università (scuola-azienda).

Forse un lavoratore o cittadino, preparato, critico e molto intelligente non è supino a restare al suo posto in silenzio.

Prova ne è che le scuole, in tutto il mondo sono sempre il focolaio di protesta e di critica contro tutti i governi, in particolare in Italia dal ‘68 in poi vi è stato un susseguirsi di proteste contro ogni tentativo di “ripristinare” una scuola che divide in base al censo.

Possiamo dire che i padri di queste storture sono molti, ultimi i ministri Moratti e Gelmini, sotto i governi Berlusconi, e il governo Renzi, che hanno trovato forte opposizione da parte dei docenti della scuola e dei loro sindacati.

Ma la storia di autonomia di ogni singola scuola è una scelta voluta dal Ministro Berlinguer, con il DPR 8 marzo 1999, n. 275, il regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, che altro non è che il Decreto applicativo dell’articolo 21 della Legge 15 marzo 1997, n. 59,  la legge Bassanini sull’autonomia negli enti statali.

Anche la legge 107/2015, sotto il governo Renzi interveniva per dare “ piena autonomia” , vedi il comma 1, e accentuando i poteri di indirizzo e direzione del Dirigente Scolastico.

Già l’onorevole di Forza Italia, Valentina Aprea, D.S., con la proposta di legge 953 del 12 maggio 2008, oltre a modifiche sugli organi collegiali, finanziamento alle scuole private e scuola fortemente legata al territorio, prevedeva la possibilità di fare concorsi a livello di singolo istituto e una contrattazione a livello regionale.

In fatto di retribuzione, i lavoratori della province autonome di Trento e Bolzano prendono di più dei docenti italiani in quanto hanno una voce retributiva specifica, l’indennità provinciale.

Navigando in rete si possono trovare delle notizie dei primi tentativi di modifica delle competenze regionali sulla scuola.

Nel dicembre 2016, a Venezia il Consiglio regionale veneto ha votato una proposta di legge per il riconoscimento del popolo veneto come «minoranza nazionale»; a ottobre 2018 è stato firmato il protocollo di intesa tra il governatore del Veneto Luca Zaia e il ministro della Pubblica istruzione Marco Bussetti per lo studio della storia e della cultura veneta nelle scuole». 

A marzo 2018, in una scuola del Veneto, si è  svolto un corso in lingua e da dicembre 2018 è stato attivato un corso in  una scuola di Arzignano (Vi).

La scuola in questi anni, come dicevo precedentemente, ha svolto una funzione fondamentale per difendere i diritti per una scuola critica, ultimo lo sciopero contro la “riforma”, detta “Buona scuola” renziana, che non ha portato molto fortuna a chi si è schierato, testardamente, contro tutti i lavoratori della scuola, dopo un anno di sit-in contestazioni, scioperi nazionali, approvandola con un voto di fiducia.

Con l’accordo Stato – Regioni in discussione  si fa un passo ulteriore nella direzione della differenziazione di ruoli, stipendi e competenze, si creeranno 20 scuole diverse e potrebbero sorgere problemi anche per la validità del riconoscimento dei titoli acquisiti  in un’altra regione.

Pur potendo conservare ruoli statali (probabilmente meno soldi, per cui tanti cambieranno ruolo) gli insegnanti già assunti dovranno rispettare la disciplina regionale. 

I nuovi assunti avranno ruoli regionali, come pure i dirigenti scolastici e il personale ausiliario e amministrativo. 

Tutto sarà competenza regionale: finalità e programmazione dell’offerta formativa, anche in funzione del territorio, la valutazione (si parla di nuovi indicatori regionali), l’alternanza scuola-lavoro, i rapporti con le scuole paritarie, che così potranno essere finanziate ancora di più. 

I sindacati scuola si stanno preparando a organizzarsi per contrastare questo ennesimo attacco di stampo “classista” tra regioni ricche e regioni povere e hanno preparato un documento per invitare i lavoratori alla protesa.

“Vengono meno principi supremi della Costituzione racchiusi nei valori inderogabili e non negoziabili contenuti nella prima parte della Carta costituzionale, che impegnano 

lo Stato ad assicurare un pari livello di formazione scolastica e di istruzione a tutti, con particolare attenzione alle aree territoriali con minori risorse disponibili e alle persone in condizioni di svantaggio economico e sociale.
La scuola non è un semplice servizio, ma una funzione primaria garantita dallo Stato a tutti i cittadini italiani, quali che siano la regione in cui risiedono, il loro reddito, la loro identità culturale e religiosa. 

L’unitarietà culturale e politica del sistema di istruzione e ricerca è condizione irrinunciabile per garantire uguaglianza di opportunità alle nuove generazioni nell’accesso alla cultura, all’istruzione e alla formazione fino ai suoi più alti livelli.”(Dal documento dei sindacati scuola e delle associazioni)

Articolo 33 della Costituzione italiana

“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.

La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.

Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.”

Per quanto riguarda l’Università, che ha un suo statuto autonomo, l’accordo tra lo Stato e la regione Veneto prevede che: 

“…la Regione ha la competenza di programmare, d’intesa con la prima, percorsi universitari integrativi atti a favorire lo sviluppo tecnologico,     economico e sociale del territorio, nel rispetto dei requisiti di sostenibilità dei corsi di studio universitari e della disciplina giuridica sui docenti universitari.

….

La regione, a tal fine può costituire un Fondo integrativo pluriennale Regionale per la Didattica.”

Anche in questo caso si potranno differenziare i corsi tra le regioni e dare più soldi ai docenti delle Università presenti nelle regioni più ricche.

Tutti sappiamo che, se l’Italia è uno dei Paesi più industrializzati del mondo, lo si deve al lavoro dei lavoratori del Sud, migrati al Nord. 

Nord che ora decide di tenersi per sé la ricchezza prodotta in un secolo e mezzo di storia unitaria, di creare più disuguaglianze e meno diritti per tutti (salute, lavoro, istruzione).

Articolo su Riviera 24 febbraio 2019

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