I meriti dei politici
La politica del fare e le bugie del potere
Ormai è consetudine comune di assumere delle parole d’ordine, esplicative e vincenti nell’immaginario collettivo.
In questi ultimi anni, finito il periodo dell’uguaglianza e del collettivo, le parole merito, individualismo, competenze, valutazioni sono risultate vincenti e non c’è nessuno che non le inserisca in qualsiasi discorso, anche a sproposito.
E’ il mantra, tutti a prenderlo come ora colato, indiscutibile e chi prova ad obiettare che sono parole estratte dal contesto neoliberista della destra, tutti ti accusano di essere vetero-comunista, fuori dalla storia, di essere rimasto a valori perdenti e senza prospettive, nostalgico del tempo passato.
Non mi dilungo molto in quanto in questi anni abbiamo assistito alla salita al potere, e non solo in Italia, di personaggi con caratteri macchiettistici e ignobili, sia a destra che a sinistra.
Hanno occupato il potere e se ne sono serviti per i loro affari.
Spesso sono sempre gli stessi, che sopravvivono a tutti i cambiamenti, anche perché c’è un popolo credulone che continua a votarli e a inchinarsi al loro passaggio, credendo alle mille promesse che ad ogni elezione questi propongono.
Nella scuola, al ministero dell’Istruzione sono stati nominati vari personaggi, di cui molti non ricordano nemmeno il nome, ma qualcuno è riuscito a fare approvare delle leggi che hanno modificato la scuola, da Berlinguer,a Moratti, Fioroni, Gelmini,Profumo, Carrozza.
Spesso non si è capito per quali meriti, forse perché erano laureati, anche professori universitari, ma spesso perchè vicini al Presidente del Consiglio, anche se incapaci di fare un discorso esauriente e chiaro sui temi che dovevano trattare.
Tutti hanno destrutturato la scuola, lanciando proclami altisonanti, ma realizzando in parte i loro propositi, il lascito peggiore è della Gelmini, catapultata in quel ministero, malgrado le sue precedenti esperienze sconsigliavano di inserirla in un posto fondamentale per l’educazione dei giovani.
Tutti questi hanno in comune una visione della scuola legata ai concetti del mercato, la scuola in funzione delle esigenze del mondo del lavoro e non anche come luogo per crescere, come luogo di formazione del cittadino.
Per ultima è arrivata la Giannini, tutti pensano chissà per quali meriti, forse perché ha titoli accademici, conosce bene la scuola, essendo docente universitaria.
Specchio per le allodole, ripete come i suoi precedessori il solito mantra, merito, valutazione, meno scuola, soldi per le private.
Nemmeno un ripensamento sulle scelte sbagliate e incredibili di questi 20 anni, tutte nella stessa direzione, che hanno portato danni incalcolabili sia alla scuola, che alla società.
Dovremmo metterli alla berlina, a futura memoria e invece questi salgono in cattedra a sproloquiare sui giovani e sugli insegnanti, senza un minimo di vergogna e senza correre a nascondersi alla vista di tutti.
Sono tutti raccomandati, collegati tra di loro, amici degli amici, legati ai poteri forti, quelli che hanno paura dei veri cambiamenti, quelli che hanno paura di perdere le loro ricchezze, le loro posizioni, le loro rendite.
Mi piace, per concludere, riportare un articolo di Giuseppe Aragno, in cui la contraddizione tra i valori dichiarati e i meriti di cui si fa sfoggio sono evidenti.
A memoria di quelli che si fanno abbindolare dai chiacchieroni.
Contraddizioni tra merito e valutazione
La politica è un’arte davvero difficile. A proposito del Principe di Machiavelli, Gramsci osservò che «le masse popolari dimenticano i mezzi impiegati per raggiungere un fine, se questo è storicamente progressivo e risolve i problemi essenziali dell’epoca». Per giudicare della «virtù» del Principe, quindi, occorre tempo per capire se abbia saputo parare i colpi della «fortuna». Si metta l’animo in pace, perciò, chi si scandalizza per il colpo vibrato da Renzi all’amico Letta. Paladino del merito, intanto, un merito Renzi ce l’ha: ha usato per bussola Machiavelli. Sarà stata un’impresa da Giuda, la sua, ma ai moralisti risponderà che i tempi – e quindi gli uomini – sono così «tristi», che ha dovuto decidersi a «intrare nel male». Il punto, perciò, non è se abbia colpito a tradimento. Conta che la condizione delle cose lo richiedesse e abbia inferto il colpo con una «crudeltà bene intesa». Conta, per esser chiari, che i fatti dimostrino, poi, che s’è trattato di ferocia «necessitata», capace di volgersi a una «bontà» delle scelte, che spieghi il «male» e lo riscatti in nome del «bene comune» che ne è venuto.
In questo senso, la formazione del governo, in particolare Stefania Giannini al Miur, fortilizio su cui si leva la bandiera del merito come grido di crociati – «Dio lo vuole!» – è la prima, vera cartina di tornasole per capire se il Principe ha voluto «intrare nel male» per quella «virtù» che produce «vantaggi collettivi», o per istinto da Giuda che il «suo» Machiavelli direbbe «azione egemonica», mirata alla «gloria», non alla necessità di un «bene» che susciti consenso popolare. Un consenso, si sa, che non è «caritatevole» e disinteressato, ma risponde al criterio del «do ut des»: il tuo potere, in cambio di un minimo di benessere e giustizia sociale.
Chi provi a cercarlo, un segnale che dica sin da ora dove s’indirizzi Renzi, lo troverà nella scelta che ha seguito il colpo; una scelta che presto chiarirà se, dato il peggio di sé in ragione della «durezza dei tempi» e dei «venti della fortuna», è ora pronto a cancellare l’impressione sgradevole d’una natura opaca, sensibile all’interesse «particulare» e incapace di ricavare dal male compiuto il cambiamento che conduce al «bene».
E’ vero, Stefania Giannini non si valuta su dati «qualitativi» – il Miur, di cui è titolare, gioca le sue carte su un’idea «quantitativa» della valutazione – Invalsi e test, Anvur e «mediane» – e non bastano i valori di riferimento, che, non c’è dubbio, conducono alla famigerata «Agenda Monti», a criteri di «revisione della spesa pubblica» che diventano «tagli», alla detassazione delle sovvenzioni private a università e scuole che non hanno più accesso a fondi pubblici, al «prestito d’onore» come forma di finanziamento privato degli studi, che nei paesi anglosassoni consegna troppi giovani all’indebitamento a vita e al ricatto del «debito si studio» e, infine, alla dottrina Aprea sulla privatizzazione del sistema. Stefania Giannini, docente universitaria di glottologia, si valuta anzitutto coi parametri bibliometrici adottati dal Miur per i docenti.
Il Corsera e Wikipedia – che in tema di politici è più realista del re – ci dicono che la Giannini, glottologa e linguista, è diventata docente Associata all’Università di Perugia dal 1991, quando contava solo su una monografia scritta con una collega. Per carità, nessun giudizio di valore (il Miur non chiede alle Commissioni per l’abilitazione alla docenza di leggere i libri) solo un rilievo oggettivo: con le regole imposte oggi dall’Anvur – bibbia del Ministero – il suo lavoro, che sarà certamente un modello di scienza e innovazione, non le avrebbe dato la cattedra e la carriera, che l’ha poi vista rettrice dell’università di Perugia, ne sarebbe stata segnata, tanto più che, in seguito, assieme ad alcune «curatele», la ministra ha scritto una sola nuova monografia.
Non c’è dubbio e va detto: sarebbe davvero stupido discutere del valore di Stefania Giannini in base a questi dati. Sarà studiosa di indiscutibile talento. Sta di fatto, però, che proprio in questo modo stupido l’università valuta oggi gli studiosi. E la ministra lo sa.
Per un governo che leva il vessillo della «cultura del merito», il tema della valutazione diventa a questo punto contraddizione grave e problema grande come una casa. O ha scelto Stefania Giannini in ragione di questa esperienza diretta, con l’intento di correggere le distorsioni di un sistema di valutazione dannoso e inefficiente, o Renzi e Giannini vendono fumo e l’ultima preoccupazione del governo è il sistema formativo. Fosse così, Letta politicamente ucciso e Giannini al Ministero di Carrozza, per dirla col maestro di Renzi, sarebbero «crudeltà male usate», offese che non evitano mali maggiori, non superano la dimensione dell’egoismo e non creano condizioni di miglioramento. Fosse così, stia certo Matteo Renzi, «appena si presenterà l’occasione del proprio profitto», la gente, ingannata, romperà l’impegno di fedeltà con «colui che inganna» e invano il Principe starà sul chi vive, sempre necessitato a tenere il coltello in mano». Il duca Valentino, privo di«virtù», perirà, travolto da quella«fortuna» che ha in odio i vili e non perdona i Giuda, tutte le volte che il tradimento si dimostra inutile. Con lui, purtroppo, cadrà però il Paese senza colpo ferire e all’Europa, che egli afferma di voler cambiare, sarà «licito pigliare la Italia col gesso», come fece Carlo VIII. Non è un’esagerazione e nemmeno polemica politica. E’ la «realtà effettuale», direbbe Machiavelli: il PD del Principe rischia di portarci molti secoli indietro.
Giuseppe Aragno – 26-02-2014 Fuoriregistro
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