Disagio e poteri

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Disagio e poteri

24/10/2013 Lavoro Politica Scuola 1
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Classificare e sanzionare la povertà

Non ce la faccio più!

Nun te reggae più!

Sto cercando di razionalizzare e capire la mia incazzatura, ma sono al limite della sopportazione o meglio della neuro.
Al solo pensiero di sentire parlare di DSA, BES, PDP,PIP e altre acronimi simili, il cervello e il mio corpo tendono a esplodere a fior di pelle (anche mentre sto scrivendo!), ecco non ce la faccio più.
Ho bisogno di scrivere per tranquillizzarmi, per essere razionale, per cercare di capire cosa è successo alla scuola che era all’avanguardia nell’inserimento degli allievi “svantaggiati” (ma che significa?), quella scuola che sono riusciti a snaturare, a farla diventare incomprensibile senza senso, senza un sussulto di dignità dei docenti, che subiscono e accettano, eseguendo ordini e compilando carta su carta, tabelle, schede, selezionando item e discutendo per ore cosa occorre scegliere.
Ecco perché mi è venuta la prima esclamazione (dal film di Verdone “Bianco, rosso, Verdone”) di quel marito assurdo, che ha pianificato tutto, anche quando andare al bagno e la moglie disperata alla fine se ne è andata, lasciandolo solo.
La seconda affermazione, per farmi respirare forte, è di una canzone di Rino Gaetano che enunciava i partiti di allora (DC, PCI, PSI,PSDI,…) e che voleva mettere in berlina il potere di allora.
Ci ho provato, ma cresce l’insofferenza a tutto questo inutile accozzaglia di sigle, che tendono affrontare i problemi reali delle persone e di chi è in difficoltà, scaricando sulle spalle dei docenti il disagio economico, psichiatrizzando le differenze sociali e classificando le persone in carne ed ossa in schemi, in item senso senso, incomprensibili ai più, agli stessi docenti che compilano in silenzio, cercando di dare un senso al loro lavoro, all’impegno e alla passione che li contraddistingue, senza che nessuno glielo lo riconosca, se non a parole.
Quale classificazione si può dare a un ragazzo che vive solo con la madre e questa ha perso il lavoro e non riesce ad avere i soldi per andare avanti.
Quale classificazione (un numero?) si può dare a una ragazza straniera, che ha difficoltà a comprendere l’italiano e si esprime con monosillabi.
Si potrebbero trovare altri di questi casi, ma questi bastano.
Hanno creato, in questi ultimi, il deserto, hanno di nuovo spinto i poveri al limite della sopravvivenza, a cercare gli aiuti della associazioni che si occupano dei disagiati e poi chiedono alla scuola di risolvere queste situazioni.
I ricchi si sono arricchiti di più, depauperando gli strati sociali in basso, togliendo finanziamenti alla sanità, alla scuola, chiudendo fabbriche e adesso sperano che noi docenti ci occupiamo di questo.
Meglio che lasciarli alle istituzioni totali, galere e manicomi, come succedeva agli albori dell’industrializzazione.
Hanno tolto la sicurezza del futuro ai giovani e ai vecchi, hanno eliminato la solidarietà tra generazioni e questo si è trasferito nella scuola, nei ragazzi senza speranza, senza voglia di studiare, senza la prospettiva che la scuola sia un trampolino di lancio per uscire da dove il potere ti vuole rinchiudere.
Ma perché dobbiamo accettare che invece di spendere i soldi per inserire docenti di appoggio, di sostegno, subiamo tagli nei finanziamenti e l’eliminazione di 150 mila precari in questi ultimi anni.
Ma perché continuiamo ad accettare sempre in silenzio le proposte, mai discusse con noi, di qualsiasi modifica, proposta nel chiuso da associazioni, fondazioni, che su questo crescono e si arricchiscono, assumendosi ruoli che non competono, svalorizzando la funzione educativa, relazionale, di complicità, crescita e condivisione di un periodo importante per i ragazzi.
Con le famiglie di questi ragazzi occorre parlare, chiacchierare, far sentire che capiamo le loro esigenze, che vogliamo che i loro figli crescano con i tempi di cui ognuno ha bisogno.
Riempire moduli su moduli, selezionare item e sanzionare il “disagio” (anche quello dei docenti?) ma che aiuto può dare ai genitori di questi nostri ragazzi.
Vi immaginate quante di quelle pagine che abbiamo compilato con tanta cura verranno lette dal genitore immigrato, appena arrivato in Italia.
E dopo che questi hanno messo la loro firma, accanto alla nostra che sollievo potranno sentire.
Ci siamo salvati la coscienza, abbiamo risolto i problemi della burocrazia, inutile, dispendiosa e senza cuore, ma noi ci sentiamo assolti?
Non è colpa nostra se subiamo queste imposizioni che non vanno alla radice del problema?
La scuola ha la necessità di maggiori investimenti, di più personale, di classi meno numerose, di docenti valorizzati, anche nello stipendio.
Si parla di nuovo di aumentare l’orario di lavoro dei docenti, scambiandolo forse con qualche elemosina per coloro che sono disponibili a questa proposta.
Ma la perdita di potere di acquisto di questi anni è di tutti, non di alcuni.
Tutti dobbiamo essere “valorizzati” e non si può accettare uno scambio tra aumento di lavoro e aumento dello stipendio.
Se non si esce dalle nostre chiusure, dai nostri individualismi, che senso ha il nostro lavoro, il sentirsi “docenti”.
Ma che docenti siano, quale insegnamento possiamo trasmettere ai nostri studenti, se noi subiamo in silenzio le angherie e le imposizioni?
A questi ragazzi, a quelle famiglie non servono chilometrici fogli di enunciazioni e di classificazioni, servono più docenti, più reddito, un lavoro e una casa.
Si rischia di essere “complici” quanto si borbotta in silenzio e non si ha il coraggio di opporsi alle ingiustizie e alle imposizioni.

Ecco perché sto diventando irascibile, ecco perché inizio a non sopportare più le chiacchiere, ecco perché ho bisogno di fuggire dai riti e dal tran-tran della scuola.
Ho bisogno di respirare aria nuova, di tornare in una scuola in cui si affrontano realmente le problematiche e si discuta di didattica e non di cifre, numeri, schemi, tabelle, test!
Non voglio finire alla neuro, aiuto!

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Una risposta.

  1. G.CARGNELLI ha detto:

    nato nel 1952, quarantaduesimo anno di servizio ( due di carabiniere 40 di insegnamento) più 6 anni di lavoro in azienda familiare senza contributi. Non capisco la stagrande maggiranza dei colleghi che lavorano oltre il contratto per niente dopo le batoste sindacali prese negli ultimi cinque anni. Insegnamo agli allievi la solidarietà e poi a fatti non non hanno nessun rispetto per i precari, non scioperano per non rimettere 80-100€, chiedono ore aggiuntive di insegnamento quando farebbero comodo a giovani motivati disoccupati. Fanno campagna elettorale per le elezioni del consiglio di istituto in cambio di niente, neanche un punto nella graduatoria interna d'istituto,  quando basta farsi eleggere in un qualsiasi consiglio comunale per scavalcare la graduatoria d'istituto. Con queste premesse abbiamo quello che ci meritiamo.

    g.cargnelli udine 

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